Terzo settore, definiti i limiti per i ricavi da “attività diverse”
Dopo mesi di attesa, è stato discusso nella Cabina di regia dello scorso 7 marzo uno dei decreti attuativi più delicati tra quelli che dovranno dare corpo alla riforma del terzo settore. Si tratta del decreto ministeriale che “individua i criteri e i limiti” che gli enti del terzo settore (Ets) devono seguire nell’esercizio delle “attività diverse da quelle di interesse generale”.
Le attività di interesse generale sono quelle definite dall’articolo 5 del Codice del terzo settore: un elenco (aggiornabile in futuro) di ben 26 tipologie che spaziano dalla sanità all’assistenza, dall’istruzione all’ambiente, dall’housing all’agricoltura sociale e al commercio equo; e che costituiscono una caratteristica essenziale dell’“essere” terzo settore.
Il decreto si riferisce invece alle attività “secondarie e strumentali” (articolo 6) rispetto a quelle di interesse generale ma che, “indipendentemente dal loro oggetto”, gli Ets possono esercitare “per la realizzazione, in via esclusiva, delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite”. Non è, quindi, il tipo di attività a fare la differenza ma solo la loro funzione, che mira a sostenere, supportare, promuovere e agevolare il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente di terzo settore.
Si tratta di un provvedimento importante anche in vista delle modifiche statutarie che molti Ets dovranno fare entro il prossimo 3 agosto. È utile infatti ricordare che le attività secondarie e quelle di interesse generale devono essere definite nello statuto.
Da rilevare inoltre che la pubblicazione del decreto avviene dopo la firma del protocollo d’intesa tra il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e Infocamere, la società telematica delle Camere di commercio, per la gestione del Registro unico nazionale del terzo settore. L’accordo prevede un termine massimo di 18 mesi per rendere operativo il registro.
Ma torniamo ai contenuti del decreto: affinché queste attività diverse siano ritenute secondarie, devono ricorrere almeno una delle due condizioni, entrambe relative ai ricavi dell’attività determinati in ciascun esercizio:
- non devono superare il 30% delle entrate complessive dell’Ets;
- non devono superare il 66% dei costi complessivi dell’Ets.
È da sottolineare che per ricavi si intendono le entrate da corrispettivo per beni o servizi ceduti o scambiati dall’Ets. Si considerano entrate complessive, inoltre, quelle derivanti da quote e contributi associativi, da erogazioni liberali e gratuite, da lasciti testamentari, i contributi pubblici senza vincolo di corrispettivo, le attività di raccolta fondi e le somme ricevute tramite il 5 per mille.
Nel calcolo della percentuale, non devono essere considerati i proventi e gli oneri generati dal distacco del personale degli enti del terzo settore presso enti terzi.
Il criterio scelto – se a) o b) – deve essere definito dall’organo di amministrazione.
Cosa influisce nei costi complessivi di un Ets?
Oltre ai ricavi propriamente detti, il decreto introduce un elemento importante e anche in questo caso particolarmente atteso, che determina i “costi complessivi” da scorporare dai ricavi: si tratta di quello figurativo dell’impiego dei volontari iscritti nel registro dedicato previsto dal codice del terzo settore. Il calcolo dipende dall’applicazione alle ore di attività effettivamente svolte della retribuzione oraria lorda prevista per la stessa qualifica dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali definiti all’art. 51 del decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015.
Si considerano costi, inoltre:
- le erogazioni gratuite di denaro e le cessioni o erogazioni gratuite di beni e servizi per il loro valore normale
- la differenza tra il valore normale dei beni o servizi acquistati per lo svolgimento dell’attività statutaria e il loro costo effettivo di acquisto.
Ma cosa succede se l’ente di terzo settore non riesce a rispettare il limite imposto dal decreto?
In questo caso, ci sono 30 giorni di tempo dalla data di approvazione del bilancio per inviare un’apposita segnalazione all’ufficio del registro unico nazionale del terzo settore territorialmente competente. In alternativa, si può dare comunicazione alle reti associative di riferimento o ai centri di servizio per il volontariato, in linea con l’attività di auto-controllo a loro demandata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Se la percentuale di riferimento per le attività secondarie non viene rispettata, l’Ets può “recuperare” nell’esercizio successivo: applicando il criterio massimo di calcolo, il rapporto deve essere inferiore alla soglia massima per una percentuale almeno pari alla misura del superamento dei limiti nell’esercizio precedente. Così come specificato nella relazione illustrativa al decreto, se si sceglie il criterio a) e la percentuale, ad esempio, invece di essere al 30% è del 40%, nell’esercizio successivo l’ente dovrà avere un rapporto non superiore del 20%, in modo da recuperare lo sforamento. Stesso discorso vale per chi definisce le attività secondarie in base al criterio b).
Il rischio per chi supera la percentuale o non segnala l’eventuale sforamento è alto: verrà cancellato dal registro unico nazionale del terzo settore.
Il caso delle organizzazioni di volontariato.
Il decreto chiarisce anche che le organizzazioni di volontariato possono svolgere attività di interesse generale remunerate (e non con il solo rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate). Tuttavia, tali attività di interesse generale saranno computate ai fini del raggiungimento della percentuale delle attività secondarie e strumentali (pur essendo, di fatto, attività di interesse generale).
di Lara Esposito
Fonte CSVnet